8 marzo, parliamo di uomini

Si rende necessario riflettere collettivamente su come passare dal modello he-man al modello hu-man

“We need to keep all good things that are there about being a man, but also leave all those that need to change”

Ted Bunch

8 marzo, festa della donna, parliamo di uomini.

Ho spesso pensato di dover fare un passo indietro nel parlare pubblicamente di questo tema – il maschile, la paternità – come se non fosse compito mio parlarne perché non sono un uomo.

Tuttavia, in contesti di consulenza educativa e nella professione clinica ho ascoltato ed accolto uomini e padri, e percorso un pezzo di cammino insieme verso il cambiamento che scelgono di intraprendere per vivere meglio.

Quello che succede, a volte, è che un cliente si tatui una fenice perché sente di essere riemerso dalle ceneri. Un linguaggio ‘maschile’ per raccontare un cambiamento? Può essere, di sicuro è così che vorrei sentirmi anche io riemergendo dalle ceneri di una me che ha vissuto il dolore, in diverse forme, e ne è riemersa più forte.

(Anche Albus Silente avrebbe qualcosa da dire in merito, ma questa è un’altra storia).

Quando posso ascoltare ed accompagnare un uomo in un percorso di supporto psicologico, spesso il passaggio essenziale è che sia aperto ad esporre le proprie vulnerabilità. 

Questo, in clinica, è vero anche per le donne, anche se accade in modo diverso. Pensiamo per esempio che, nella mia esperienza, spesso è una donna a chiamare o a invitare il proprio compagno a chiedere il mio supporto.

In tempo di pandemia abbiamo visto aumentare le richieste di aiuto ai centri antiviolenza, crescere le solitudini, ma anche gli spazi di condivisione della quotidianità di padri e figli.

Anche in questo contesto, le occasioni di conoscersi, scoprirsi, di educare – tuttavia – non accadono e basta, vanno colte e modellate.

Mi chiedo se i padri abbiano scelto di vivere questo tempo con i propri figli condividendo le fatiche, il malessere, o creando nuovi giochi e trovando occasioni di dialogo con i figli in DAD. Magari anche di dialogo ‘scomodo’.

Quante coppie avranno (ri)scoperto l’importanza di usare l’ascolto profondo e la parola gentile (come dice Thich Nhat Hanh)? Quanti si saranno abbracciati nel dolore, avranno ritrovato piccole complicità e modi rispettosi di gestire una quotidianità privata degli spazi personali propri di un precedente, antico, forse scontato equilibrio, fatto anche di ritmiche lontananze?

Nell’annovero dei possibili buoni frutti del fango che è la pandemia, scelgo oggi di cogliere l’opportunità di osare parlare di maschile, paternità, educazione ad alta voce.

Lo faccio a partire dal lavoro di un’organizzazione americana che ho scoperto anni fa, quando il fondatore Tony Porter ha travolto il pubblico di TED e del web con un intervento molto potente e perturbante.

Si parla di esperienze contestualizzate in un luogo e in un tempo, cosa che Porter non manca di sottolineare, ma che portano in luce alcuni aspetti della socializzazione dell’uomo che l’organizzazione A call to men chiama ‘the man box’.

8 marzo, festa della donna, parliamo di uomini.
Nessuna donna vuole essere chiusa in una scatola. Nessun uomo vuole essere chiuso in una scatola.

Eppure culturalmente questo accade, e non ci accorgiamo nemmeno – la maggior parte delle volte – delle aspettative cui rispondiamo. Per questo forse, in alcuni casi, non sappiamo assumerci la responsabilità delle nostre azioni.

Quando siamo messi di fronte ai nostri limiti e vulnerabilità, o ci troviamo a commentare fatti di cronaca e comportamenti resi pubblici dai social, è necessario comprendere  che non stiamo definendo se sia l’uomo ad essere peggiore, oppure la donna, oppure l’uno migliore dell’altra.

Non è una guerra in cui vince chi meglio si difende, spesso con la violenza, verbale o di altra natura.

Abbiamo tutti aspetti di mascolinità e femminilità in noi, ma ancor prima di riconoscere questo, guardiamoci negli occhi ed aiutiamoci a crescere nuove generazioni più capaci di dialogare, di stare nel difficilissimo e vitale territorio del conflitto, capaci di riconciliarsi nel rispetto e di ritrovarsi nell’amore.

Da questa settimana, per tutto il mese di marzo, posterò interviste a figure chiave nel contesto della healthy manhood.

Tutto questo affinchè il 19 marzo sia la Festa del papà , così come la festa dell’uomo, del ragazzo, del bambino che cresce con la possibilità di non chiudersi in una scatola in cui la società lo definirà come il ‘solito’ maschio, facendogli così perdere quello sguardo di fiducia verso tutte le possibilità che ci sono per lui.

Ciò non accadrà se la comunità, il cerchio, il villaggio, gli altri uomini e donne della sua vita lo sosterranno.

E per la Festa del papà, ho trovato la canzone manifesto, che merita di essere cantata, perché i padri tanto fanno quando sostengono i loro figli persi sotto le pressioni ed il senso di impotenza, una mentalità fissa (C. Dweck) e la vecchia, amara, paura di fallire e perdere l’amore.

Guardate Caparezza agire magistralmente nel video la Zona di Sviluppo Prossimale di Lev Vygotsky, e cantate!

English version on ISEwellbeing, a community for wellbeing in International Schools of Europe

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