Essere, altrove
Vivere all'estero, expats, salute e benessere, mindfulness

Come la mindfulness può sostenere e migliorare l’esperienza di chi affronta un periodo di vita all’estero

“Wherever you are,
be there, totally.”

Eckhart Tolle

Hai mai vissuto altrove, per un periodo breve o prolungato? Sei uno studente che frequenta un ateneo lontano da casa, o un expat che vive o lavora all’estero? Allora questo articolo è pensato per te.

Il cambiamento è un’esperienza che attraversiamo più volte nelle nostre vite. È affascinante, eccitante, voluto, oppure indesiderato, difficilmente tollerabile, doloroso. È misterioso e sconvolgente anche quando desiderato, e facciamo riferimento a tutte le nostre risorse psicofisiche per farvi fronte.

Vivere o viaggiare all’estero è un’intensa esperienza di cambiamento e ha la caratteristica di accrescere la nostra consapevolezza. Notiamo di più le cose, può sembrare che ogni volta che ci spostiamo i nostri occhi vengano nuovamente aperti. Ci fa sentire immersi nella gamma più varia di immagini, profumi e suoni. Questo è probabilmente uno dei motivi principali per cui la vita internazionale è così allettante.

Eppure, non c’è nulla come trasferirsi in un altro Paese per metterci a nudo, esporre le nostre vulnerabilità e farci sentire inadeguati.  Quando siamo costantemente immersi nell’altrove le differenze attirano la nostra attenzione verso l’esterno e siamo portati a giudicarle, spesso come indesiderate, ‘sbagliate’.

Questi pensieri ci fanno rimpiangere ‘casa’ e l’ordine ‘naturale’ delle cose. Immersi fino al collo nel disorientamento, anche fare la spesa o andare in posta può essere ‘troppo’.

Corriamo il rischio di sviluppare modelli di comportamento che ci portano a irrigidirci ed isolarci, sostiamo sulla soglia di un progressivo repertorio di azioni che ci tengano lontano da ciò che non comprendiamo o che ha una tonalità dissonante, e per questo ci allarma.

Quando l’esperienza altrove è stata desiderata e fantasticata, può essere ancora più difficile dirci con pazienza e compassione che non tutto è come avremmo voluto. Emergono vissuti faticosi che possono toccare diversi gradi di sofferenza, dalla rabbia alla nostalgia, fino ad esperienze depressive.

Di fronte a questo scenario, siamo spesso inclini ad escludere dalla consapevolezza le emozioni difficili. Ci diciamo che dovremmo essere forti, superare queste debolezze e andare avanti.

Gli expat con cui lavoro mi ricordano ogni giorno che un trasferimento è un’esperienza individuale e collettiva al tempo stesso. Le emozioni che abitano questi nuovi luoghi toccano da vicino i propri affetti: un marito accompagnato in un’avventura professionale, una compagna coinvolta, i propri figli, i propri genitori.

Il passo dal sogno al senso di sradicamento è breve: si affacciano timori di fallimento, sensi di colpa, un ottovolante emotivo che si vorrebbe solo mettere a tacere, nell’attesa che passi.

Possiamo anche rimanere intrappolati nel pensiero e nell’analisi eccessiva. Ci innamoriamo dei nostri pensieri positivi: la vita sarà perfetta una volta che sarà passata questa fase, o che guadagnerò abbastanza per dimostrare che è stata una buona idea.

Quando questo innamoramento non è presente, è frequente annegare nei pensieri negativi, nelle ruminazioni di un passato di scelte differenti: se solo avessi detto di no… i miei figli mi odieranno per averli trascinati da un posto all’altro.

Alcune mogli o mariti pensano che il loro compito sia adattarsi, mettere il silenziatore alle emozioni che segnalano un disagio, sforzarsi di rispondere al richiamo alla condivisione della gioia, per non trasmettere il malessere al partner o ai figli.

Con crescente senso di solitudine, le nostre risorse per attraversare insieme un momento difficile soffocano in un fitto sottobosco di silenzi e di non detti.  Suoniamo questi nastri mentali ed emotivi più e più volte nelle nostre menti. Agiamo su di loro. Reagiamo a loro in un’estenuante interfaccia con i pensieri, scacciandoli o soccombendovi.

Ma le risorse ci sono, anche se sommerse o all’apparenza inaccessibili. Per sentirle nuovamente vibrare è importante aprirci ad ogni esperienza che la transizione porta con sé. Potremmo scegliere di accogliere ogni vissuto che il cambiamento propone: non per trovarlo piacevole, ma per farne esperienza, lasciandolo emergere e osservando con curiosità ogni sua sfumatura.

Se lo facessimo, cosa potrebbe cambiare?

La buona notizia è che possiamo migliorare nell’affrontare questa esperienza con accorgimenti che non richiedono di essere altro da ciò che siamo, e sono contagiosi in senso adattivo e di crescente apertura.

La pratica della mindfulness ha comprovata efficacia nell’accompagnare individui e famiglie che attraversano una transizione, come un periodo di vita altrove. Gli expats che praticano la mindfulness risvegliano e potenziano una risorsa interiore che aumenta la flessibilità psicologica: nuove opzioni si aprono per loro, e sono nella condizione ottimale per coglierle.

Coltivano l’abilità di scegliere come agire, invece di reagire in base a vecchie abitudini e modelli. Con gli alti e bassi propri dello stile di vita degli expats, la presenza consapevole può essere uno strumento eccellente per modellare un’esperienza più sostenibile e appagante.

Praticare in gruppo o individualmente può sostenere con solida gentilezza ciò che ogni expat attraversa: la fine come nuovo inizio, sostare nell’incertezza per coltivare nuove risorse, un rinnovato senso di quotidiano ritorno a ‘casa’, ovunque si abiti oggi.

REFERENCES

  1. Harris, Global Living Magazine – Issue 18 | 2015

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