HU-MAN: crescere liberi. L’esperienza del Laboratorio dei padri nell’intervista al Prof. Luigi Regoliosi

Anticipata dall’articolo uscito l’8 marzo, ecco la prima intervista a figure con particolari esperienze nell’ambito della psicologia e dell’educazione, per continuare la riflessione sul tema della ‘healthy masculinity’

INTERVISTA AL PROFESSOR LUIGI REGOLIOSI, PSICOLOGO E DOCENTE UNIVERSITARIO

Professor Regoliosi,
grazie per aver dato la sua disponibilità a questa intervista sul tema della ‘healthy manhood’, ovvero della mascolinità sana.

Come prima domanda, le vorrei mostrare due interventi sul tema e chiederle un parere:

Quali elementi dei due interventi TED sono per lei più significativi e adatti ad uno sguardo contemporaneo sull’educazione del maschio?

Nel primo intervento è molto efficace l’immagine della ‘scatola delle regole’ per essere un uomo accettato dagli altri uomini. L’immagine restituisce bene l’idea che si tratta di un condizionamento, di una gabbia che chiude, quindi di una mancanza di libertà.

E’ importante anche lo schema conclusivo, che evidenzia come una serie di luoghi comuni possa portare a diverse forme di violenza contro le donne.

Infine l’argomentazione più incisiva, dal punto di vista emotivo, è quella che Tony Porter fa parlando di sua figlia, e di come vorrebbe fosse trattata dagli uomini che incontrerà.

Il secondo intervento mi sembra che vada più in profondità, parlando di ruoli e di copioni imposti, e superando la distinzione stereotipata maschile/femminile in nome del nostro comune essere ‘umani’. Justin Baldoni sottolinea in particolare il limite, che condiziona gli uomini, quando si tratta di parlare di ‘cose personali’, di manifestare le proprie emozioni in modo autentico, la propria fragilità e vulnerabilità.

Interessante il riferimento al padre, un uomo sensibile che lui incolpava, col suo stile di comportamento, di ‘renderlo debole’, e che oggi invece riconosce come un vero maestro di umanità.

Infine sottolineo l’affermazione che ‘la trasformazione è possibile’, documentato dall’episodio dello scambio sui social. E’ un segno di speranza e insieme una esortazione a portare avanti una battaglia culturale ed educativa.

Nell’agosto 2018 l’APA ha pubblicato Guidelines for Psychological Practice with Boys and Men. Qual è la sua opinione in merito, all’interno del contesto italiano?

L’ideologia illustrata dall’APA è sicuramente diffusa anche nel nostro Paese, ma con grandi variazioni in base alle aree geografiche, agli ambienti e agli strati sociali.

Negli ambienti più culturalizzati vedo maggior impegno, da parte degli uomini, nel superare visioni stereotipe e nel coltivare qualità e compiti tradizionalmente ‘femminili’, ad esempio nell’accudimento dei bambini, nel gioco, nelle mansioni domestiche.

Certo, ancora molta strada c’è da fare: è significativo, ad esempio, il fatto che la maggior parte delle professioni ‘sociali’ (intendendo con questo termine anche l’area educativa e sanitaria) siano ormai declinate quasi esclusivamente al femminile, come se l’occuparsi dei bisogni degli altri non fosse un compito adeguato per l’uomo.

In alcuni casi si assiste a una sorta di ‘trasformazione a metà strada’: l’uomo che si apre a sensibilità e a ruoli ‘femminili’ ma così facendo perde sicurezza, va in crisi di identità.

Come pensa sia più utile intervenire culturalmente e socialmente per un cambiamento nella cosiddetta ‘socializzazione dell’uomo’ in favore di minori rischi e maggiori benefici per individui e comunità?

E’ una operazione complessa, che investe gli uomini ma anche le donne. A volte sono proprio le donne (nel loro ruolo di madri e di mogli) a chiedere all’uomo di essere ‘forte’, ‘duro’, ‘macho’ secondo gli stereotipi tradizionali.

Mi capita sempre più spesso di imbattermi, come psicologo, in giovani coppie dove il ruolo dominante è svolto dalla donna, e dove l’uomo viene accusato di essere ‘passivo’, troppo insicuro, debole, incapace di iniziativa, e di delegare tutte le responsabilità e le decisioni alla donna. E si tratta quasi sempre di uomini molto sensibili, che credono nella parità dei sessi, che sono ben disposti a collaborare con i figli e con la casa.

Il fatto è che in questa lunga transizione il passaggio dal modello dell’uomo ‘forte’ ad un nuovo modello maschile più sfaccettato e aperto non è così facile e socialmente definito.

Soprattutto nei rapporti di coppia, la ricerca di nuovi equilibri, che eliminando alcune contrapposizioni stereotipate (uomo forte / donna debole), non cancellino le differenze e salvaguardino una certa complementarietà è ancora tutta da giocare.

La mancanza di modelli culturali convincenti rende difficile il ruolo educativo della famiglie e della scuola: quale immagine vogliamo trasmettere della figura maschile e del rapporto uomo/donna?

L’esempio citato da Justin Baldoni al riguardo è molto interessante: Baldoni è passato dal disprezzo per il padre ritenuto troppo ‘debole’ al suo riconoscimento come uomo ‘sensibile’. Ma c’è voluto del tempo per maturare questa diversa lettura e integrare questa ‘debolezza’ dentro ad una nuova immagine di sicurezza di sé.

Nel 2004 ho avuto il piacere di assisterla in un’esperienza a mio avviso centrale nel contesto di cui stiamo parlando, il Laboratorio dei padri.

Perchè un Laboratorio dei padri? Ci può descrivere di cosa si tratta e come ‘funzionava’?

L’idea di un ‘Laboratorio dei padri’ mi era nata dal fatto che, in tante occasioni di formazione rivolte a genitori, avevo constatato l’assenza delle figure maschili o comunque una loro presenza minoritaria e ‘silenziosa’, del tutto sovrastata in termini numerici ma anche di vivacità e capacità di espressione dalla componente femminile.

Ho pensato allora che potesse giovare creare uno ‘spazio riservato’ per soli uomini, dove i neopadri potessero confessare anche le loro fragilità e incertezze senza timore e senza imbarazzo, scoprendo la possibilità di esternare i propri sentimenti e le proprie emozioni.

La premessa fatta allora, ormai 16 anni fa, sottolineava come nell’esperienza di una coppia che si apre ad accogliere la nascita di un figlio fosse allora la figura maschile quella che incontrava maggiori difficoltà.

In tale premessa si leggeva come la realtà contemporanea fosse stata definita come una società “senza padri”, perché sempre più sbiadito appariva il ruolo e la presenza del ruolo paterno nella famiglia e nelle istituzioni.

Una latitanza grave, che può comportare pesanti conseguenze nella crescita delle nuove generazioni: non a caso, nella storia di tanti ragazzi coinvolti in esperienze di devianza, è così frequente la mancanza di un padre significativo.

Tante le possibili motivazioni che stanno alla base della crisi descritta: – la rapida evoluzione culturale e sociale della figura femminile, che sta costringendo gli uomini ad una faticosa ridefinizione della loro identità e del loro ruolo sessuale; – la contestazione del principio di autorità, avviatasi con la “rivoluzione” degli anni settanta, che rende ancora oggi difficile l’esercizio positivo di un ruolo autorevole capace di stimolare, contenere, mettere alla prova il figlio; – la crescente complessità che ha investito il mondo in cui viviamo, un mondo in cui è sempre più arduo, anche per l’adulto, orientarsi e capire, e dove perciò i padri spesso non sanno proporsi come guida efficace nella scoperta della realtà.

Oggi, alcuni aspetti restano similari, e se ne sono aggiunti altri. A queste difficoltà, oggi come allora, si può reagire in due modi: con la fuga, sottraendosi a un compito di fronte al quale ci si sente inadeguati, oppure con l’imitazione, appiattendo il proprio ruolo su quello materno.

Non è facile inventarsi un “nuovo modo” di fare il padre, che non sia la riedizione del vecchio padre autoritario (oggi improponibile), ma nemmeno una sbiadita fotocopia della madre, in versione più allegra e giocherellona.

Per questi motivi avevamo pensato all’opportunità di promuovere un “Laboratorio alla ricerca del padre”: non ci sono soluzioni preconfezionate da proporre, ma crediamo molto nell’utilità del confronto e della elaborazione comune.

Obiettivi del laboratorio:

  1. Promuovere la partecipazione e la libera espressione di tutti i partecipanti
  2. Favorire il confronto e l’elaborazione comune
  3. Far emergere ed analizzare vissuti, paure, ansie e preoccupazioni legate a presunte inadeguatezze o inadempienze in rapporto al ruolo paterno
  4. Favorire una esplorazione delle problematiche relative al ruolo maschile e femminile, e alla connessione tra patto coniugale e patto genitoriale
  5. Analizzare le diverse forme di presenza del padre nei confronti del bambino (nascituro o neonato)
  6. Approfondire le declinazioni più adeguate, nella realtà attuale, delle funzioni paterne di contenimento e mediazione.
 Metodologia: il laboratorio era guidato da un conduttore, il cui compito è quello di facilitare e valorizzare la condivisione delle esperienze e delle competenze dei partecipanti, esplicitate e messe a confronto grazie alla proposta di esercitazioni.

Ne ha svolti altri negli anni? 

Quali differenze ha notato con il trascorrere del tempo?

Emerge, durante i laboratori, la ‘man box’ cui fa riferimento Porter?

Che tipo di esperienza è stata per lei?Come un Laboratorio dei padri può lavorare nella direzione di una promozione socio-culturale di uno sviluppo di una mascolinità sana?

L’esperienza è stata replicata per due anni a Cornaredo, e poi riproposta a Bergamo in due edizioni. Trattandosi di date abbastanza ravvicinate, non ho notato grandi cambiamenti.

La ‘Man box’ è emersa in parte, come riconoscimento di alcuni condizionamenti. Si trattava comunque di padri già ‘sensibili’, in quanto aperti all’idea di impegnarsi in un laboratorio.

Più che altro ho colto la difficoltà di individuare un proprio ruolo specifico nel gestire il rapporto coi figli, garantendo vicinanza e cura, ma nello stesso tempo evitando di ‘appiattirsi’ in una semplice imitazione della mamma.

Per me, che sono padre e oggi anche nonno, è stata una esperienza molto arricchente, perché mi ha coinvolto in un percorso di ricerca dove non c’erano modelli precostituiti, ma c’era il desiderio di scoprire e di inventare.

Che credo sia oggi l’atteggiamento più efficace da assumere, in un’epoca caratterizzata da grandi cambiamenti. Il concetto stesso di ‘Laboratorio’, diverso da ‘Corso’ o da ‘Scuola’, va nella direzione della sperimentazione e della ricerca.

A partire anzitutto dal riconoscimento delle proprie fragilità, dubbi e incertezze, ponendosi per l’appunto in una prospettiva di apertura e di scoperta.

Ricordo, a questo riguardo, che molti passi avanti nella ridefinizione del ruolo femminile furono effettuati negli anni settanta grazie ai ‘gruppi di autocoscienza’ tra donne.

Penso che gli uomini debbano recuperare il ritardo culturale rispetto al mondo femminile attraverso percorsi di questo tipo, mettendosi in gioco in modo autentico.

Cosa vorrebbe dire agli uomini ed alle donne, ai padri e alle madri, ai ragazzi che leggeranno la sua intervista, un messaggio diretto a cuore aperto?

Penso che la ridefinizione delle figure maschile/femminile sia una grande sfida del nostro tempo. Davanti a una sfida c’è sempre la tentazione della fuga, del tornare indietro.

Potrei sbagliarmi, ma io leggo dietro a tante, terribili manifestazioni di violenza contro le donne una reazione regressiva che nasce dalla paura di perdere il proprio ruolo, di fronte ad una partner ‘troppo’ emancipata e libera che mette a nudo le insicurezze e fragilità proprie di un uomo non più ‘socialmente definito’.

Per questo credo che la battaglia coinvolga tutti, uomini e donne, padri e madri. Agli uomini il compito di ricercare, confrontarsi, condividere, mettere a tema (finalmente) alcune questioni centrali relative alla propria identità, con coraggio e creatività.

Alle donne, alle mogli/compagne, alle madri il compito di sostenere e incoraggiare questa ricerca, sapendo che sarà lunga e faticosa, evitando di mandare messaggi contraddittori (la nostalgia del macho…, dell’uomo forte e un po’ canaglia, del capo che si assume tutte le responsabilità…) e diffondendo una cultura attenta alle dimensioni emotive ed affettive.

Cosa vorrebbe festeggiare per la Festa del papà?

Per la Festa del papà… vorrei festeggiare lo sforzo di quanti si impegnano ogni giorno, con generosità, a riscoprire/reinventare il proprio ruolo paterno, e l’impegno di quelle coppie che, senza rifugiarsi negli stereotipi, sanno sostenersi reciprocamente nella costruzione del loro difficile compito genitoriale.

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