Il potere della flessibilità
flessibilità psicologica, apertura, crescita personale

Una vignetta che uso spesso in formazione mostra due godzilla intenti nel distruggere uno scenario urbano post-moderno, sgranocchiando umani. Un godzilla dice all’altro: “Chiaro che ti senti alla grande: questi cosi sono farciti di antidepressivi!”

Viviamo in un contesto socio-culturale che promuove la cancellazione delle emozioni negative e di (quasi) ogni forma di fatica e dolore. Ci sono rimedi naturali (o meno) per togliere ad esempio l’ansia, la tristezza, il senso di appetito, ed anche sul piano comportamentale tutti noi agiamo in modi che, in fondo, sappiamo non essere nel nostro migliore interesse.

Ci distraiamo per non sentire, lo facciamo immergendoci nell’uso compulsivo dei devices, prendendo farmaci, sfogandoci sull’altro, … la narrazione del marketing rinforza l’aspettativa che stare bene significhi non sentire né il dolore, né alcuna emozione negativa, e per di più in modo stabile e duraturo.

Perché facciamo questo, si chiede Steven Hayes nel suo ultimo libro ‘A liberated mind’ (2019):

“Cadiamo in pattern di rigidità psicologica in cui cerchiamo di evitare o combattere le sfide che la mente ci pone di fronte, e così scompariamo nella ruminazione cognitiva, nella preoccupazione, distrazione, auto-stimolazione ad esempio con sostanze, lavoro senza fine e altre forme di assenza (mindlessness) mirate a sfuggire al dolore che proviamo”.

La rigidità psicologica, dunque, ci porta a fare tutto il possibile per non sentire emozioni, pensieri causati da esperienze difficili, sia quando avvengono nel qui ed ora che quando appaiono sottoforma di ricordi o di proiezioni verso il futuro.

La rigidità psicologica ci espone ad una maggiore incidenza di problematiche psicologiche e comportamentali, e finisce per farci correre il rischio di perdere la gioia (non vi è rosa senza spina), nonché quello di perdere l’opportunità di ascoltare le nostre stesse emozioni, imparando dai messaggi che il loro sorgere – per la loro stessa natura – ci invia.

Hayes dice che cadiamo in questo cammino rischioso per via del fatto che trattiamo la vita come un problema da risolvere, invece che come un processo che va vissuto. È importante fare questa distinzione anche rispetto alle aspettative che individui, famiglie ed organizzazioni hanno nei confronti delle psicoterapie e di altre pratiche orientate ad aumentare il benessere, incluse ad esempio lo yoga o la meditazione. È vitale coltivare una prospettiva lucida in cui ci sia chiarezza riguardo al nostro ruolo attivo ed alla nostra responsabilità individuale di fronte al cambiamento.

Se l’approccio “anti-“ (anti-depressivo, anti-ansia, …) può essere utile in specifiche situazioni e rimane molto interessante dal punto di vista commerciale, solleticando il nostro bisogno di serenità, la vita si ripropone in tutto il proprio essere ritmata e tumultuosa, e la qualità da coltivare per danzare questo ritmo è la flessibilità psicologica. È definita come la capacità di restare consapevoli e disponibili ad esperire il momento presente, e di agire in base ai propri valori e obiettivi.

Lara Fielding (2017) la definisce la ‘super qualità per la salute mentale’. Secondo Frank Bond (2013), la flessibilità psicologica “è un determinante primario della salute mentale e dell’efficacia comportamentale”.

Come suggerisce la definizione di flessibilità psicologica, questa abilità ha le caratteristiche di una pratica continuativa. È importante sapere che, per inerzia e senza sforzo, tenderemmo ad agire gli automatismi propri della rigidità di cui sopra.

Muoverci verso ciò che per noi è importante prevede il recupero di un senso di agency, di responsabilità e impegno ad attuare piccoli, ma significativi step – azioni impegnate – nel momento presente.

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