Profonda e chiara visione: una lezione controintuitiva e rivelatrice dalla semplicità della meditazione
La meditazione è un’attività vivente, del tutto basata sull’esperienza. La meditazione beneficia di un approccio appassionato e grintoso.
La condizione umana ci porta, in momenti più o meno frequenti, a ragionare tra noi tirando le somme: è una montagna russa di emozioni e spesso ci troviamo nei punti in basso della rampa, a desiderare i momenti in cui saremo in alto.
C’è una costante che viaggia sottile sotto ogni pensiero ‘Non va ancora bene. Devi avere di più. Lo devi fare meglio. Devi essere il migliore / la migliore’. Un enorme sforzo con poche possibilità di riuscita: rimaniamo bloccati nella sindrome del se soltanto.
Da dove arriva? È una condizione della mente, fatta di abitudini mentali insidiose e penetranti che abbiamo costruito mattone dopo mattone, e solo nello stesso modo possiamo ricostruirle: un pezzo per volta. Possiamo portare alla luce ciò che ci fa agire automaticamente diventandone consapevoli ed aumentando i momenti in cui, invece di ‘reagire’, scegliamo.
Elemento costitutivo delle nostre esperienze è il cambiamento. Il cambiamento incessante, l’impermanenza. Non ci sono mai due momenti uguali.
La natura umana nel corso dell’evoluzione ha selezionato alcune particolari risposte al cambiamento: ad esempio, classifichiamo le esperienze e cerchiamo di inserire ogni percezione in tre categorie: piacevole, spiacevole, neutro. Poi, a seconda della categoria, rispondiamo in base a una serie di reazioni del corpomente (bodymind, senza trattino).
PIACEVOLE → cerchiamo di congelare il tempo, ci aggrappiamo al pensiero, lo tratteniamo e quando non funziona cerchiamo ad ogni costo di ripetere l’esperienza che aveva dato origine a questa sensazione e a questo pensiero.
SPIACEVOLE → cerchiamo di respingerlo, negarlo, liberarcene in qualche modo. Lottiamo contro l’esperienza e fuggiamo in qualche parte di noi.
NEUTRO → esperienze tiepide, prive di interesse. Le ignoriamo perché la mente possa tornare a occuparsi di altro, al ciclo senza fine di desiderio/attaccamento e avversione.
Senza fine, questa corsa affannosa rincorre il piacevole, lo stare bene, fugge dal dolore e ignora moltissime nostre esperienze. È un sistema che non funziona. Per quanto energicamente rincorriate lo stare bene, ci sono momenti in cui il dolore vi raggiunge.
Le nostre menti sono colme di opinioni e critiche, siamo intrappolati nella prigione di cosa ci piace o non ci piace, in una parola soffriamo. La mindfulness ci porta coltivare un livello di funzionamento che non ci libera dal dolore, ma può alleviare la nostra sofferenza, intesa come quel senso sottile e profondo di inquietudine o insoddisfazione, mancato appagamento, che deriva direttamente dal continuo lavorio della mente così tipico della ‘modalità del fare’.
La mindfulness è un livello di funzionamento nel quale la mente non cerca di congelare il tempo, una modalità nella quale non ci attacchiamo al flusso delle nostre esperienze, non cerchiamo di bloccare il passaggio delle cose, nè di ignorarle.
Percepire il mondo e la vita in questo modo è molto semplice, e non è affatto facile, ma si può imparare.
In modo controintuitivo, si tratta di praticare non per stare bene, ma per vivere bene. Non inseguire il sollievo dell’aver soddisfatto l’impulso, l’impulso a ottenere, l’impulso a togliere.
Significa vivere ciò che emerge con chiarezza, significa incontrarsi nel flusso della propria esperienza. Non farsi travolgere dai processi, ma stare in presenza dei processi umani che accadono in noi, mentre accadono.
È vivere la vita da un punto di vista tutto nuovo, liberi dall’ossessione, dalla spinta compulsiva: vogliamo qualcosa, ma non abbiamo bisogno di partire al suo inseguimento. Abbiamo paura di qualcosa, ma non abbiamo paura di aver paura. Non abbiamo bisogno di togliere la paura.
Ci vuole tempo ed intenzione, non è facile, ma è possibile. La difficoltà si riduce se lascio andare il concetto di quello che devo fare, o sono prossimo a fare. Con delicatezza, aderire al momento presente. Siamo qui per stare, stare per riconoscere, non per opporre resistenza.
Non è una prova di forza, è incontrare la propria umanità.