“What if falling is part of the practice?”
E se cadere facesse parte della pratica?
Kelly Wilson ha portato alla mia attenzione questa domanda, nata nel contesto di una pratica di Yoga.
Abbiamo paura di cadere. Ce lo ha insegnato il dolore, e molte volte lo sguardo di nostra madre.
Per alcuni di noi finisce qui, o così sembra: questa paura di fronte alla possibilità di ‘cadere’ insita in ogni slancio – ad esempio di crescita personale, di evoluzione, di guarigione da una ferita psicologica – crea una rigidità e conduce ad evitamenti.
Mascherata da senso di agio, questa immobilità impregna l’esperienza di piccole tensioni continue, freni attivi, fino a rendere insostenibile il senso di impotenza.
Anche di fronte a questo, il nostro sistema nervoso e le credenze che si plasmano sul corpo emozionale possono mettere tutto a tacere, così creiamo una gabbia dorata di staticità, nell’illusione che la sofferenza silenziosa non necessiti di manifestazioni. Nell’illusione di controllare il dolore.
Arriviamo a cercare la pratica come tecnica per trovare la pace, pace come assenza di emozioni spiacevoli, una condizione impossibile in un organismo sano. E proprio praticando arriviamo a conoscere quella pace che possiamo, effettivamente, coltivare con la mindfulness.
E se cadere facesse parte della pratica?
E se la tristezza, la malinconia, il buio, l’errore, la rabbia e gli altri movimenti ombrosi delle nostre viscere fossero occasioni per praticare?
La mindfulness ci dice che è proprio così, possiamo avventurarci a praticare le ombre e le cadute quando accadono, diventandone curiosi, risvegliando la nostra insita capacità di farvi fronte assaporandole, sedendoci al loro interno e respirandole, e non invece rifuggendole o consumando ogni angolo della mente ed ogni gesto per respingerle.
Si apre il sipario dell’autunno con una corrente di aria fresca, una luce diversa, e ci mostra il cadere, la caducità. Possiamo coglierne il senso di trasformazione e lasciarci scivolare con la luce, con la terra, con le foglie nel mutare, coltivando la fiducia nell’impermanenza e la meraviglia per ciò che ogni giorno ci porta.
Frank Ostaseski scrive: “Ormai permetto a me stesso di scivolare negli intervalli: le transizioni, i punti di passaggio sono ciò in cui trovo pace, il fresco della pura consapevolezza, i punti fermi, le prospettive che mettono in evidenza la sacralità di ogni cosa“.
Mentre ricevo queste parole, accolgo la lentezza con cui mi trovo ad entrare in questa transizione, e penso ai cicli di mindfulness in partenza quest’autunno come a un luogo sicuro in cui scivolare con grazia attraverso i cambiamenti, accogliere il fresco che porta la stagione in arrivo già in queste sere, stare in contatto con ogni emozione, insieme, e riprometterci di so-stare a riconoscere il sacro nell’ordinario.
Let’s fall.
“Ogni tempesta ha, come un ombelico, un vuoto nel suo centro, attraverso cui un gabbiano può volare in silenzio”
H. W. Bynner